Sicurezza, produttività e sostenibilità: una roadmap per lo Smart Working

Tra il “cosa resterà dell’emergenza COVID-19” un posto d’onore spetta indubbiamente alle nuove modalità di lavoro attivate in questi due mesi da Pubbliche Amministrazioni e aziende di ogni dimensione, da alcuni definite Smart Working, più spesso somiglianti a Telelavoro forzato da lockdown. Un lavoro comunque possibile da svolgere “a distanza”, grazie all’impiego delle tecnologie digitali e, nel caso del lavoro veramente smart, frutto di un ripensamento dei processi aziendali.

La fase 2, in base a quanto stabilito dall’ultimo decreto del presidente del Consiglio dei ministri, sembra portare con sé e voler preservare queste nuove modalità di lavoro, che dovrebbero essere privilegiate sia da aziende che da PA, vista la possibilità per i primi di ricorrere al lavoro agile senza accordo con il dipendente e per i secondi di attivarlo rifacendosi all’articolo 87 del decreto legge 18/2020.

Quale il rapporto tra Smart Working e Sostenibilità?

Oltre la facile connessione tra lavoro agile e sostenibilità ambientale, ampiamente dimostrata in questo periodo di lockdown, una connessione interessante potrebbe essere quella riferita alla sostenibilità economica, visti i dati dell’Osservatorio Smart Working del PoliMI, che parlano di un aumento della produttività aziendale oltre che di una maggiore soddisfazione degli smart worker rispetto all’organizzazione del proprio lavoro (31% a fronte di un 19% dei lavoratori tradizionali).

Ma non basta” – afferma Stefano Epifani, direttore del Digital transformation Institute. “Parlare di smart working e sostenibilità vuol dire anche, necessariamente, parlare di lavoro sostenibile nel senso più stretto del termine. Quando l’obiettivo 8 di Agenda2030 parla di lavoro dignitoso per uomini e donne, per giovani ed anziani non fa certo riferimento alle condizioni nelle quali si sono trovate molte famiglie in questi ultimi mesi: a doversi barcamenare tra orari sempre più dilatati (oltre due ore in più al giorno secondo alcune analisi) e spazi di vita sempre più ristretti, nei quali alla compressione del lockdown si è aggiunta l’ansia da performance di un lavoro nei fatti sempre presente. Ripensare temi e modalità vuol dire costruire modelli di lavoro che vadano incontro alle famiglie e non generino discriminazioni. E in questo le tecnologie digitali possono essere alleati portentosi, a patto che le si usi congiuntamente alla revisione dei modelli aziendali e a un percorso che lavori per risultati e non per processi. Su questo c’è molto da fare dal punto di vista organizzativo, culturale e sindacale, ma anche dal punto di vista dei processi di system integration, che sempre di più dovranno essere concepiti per integrare livelli di complessità alti e modelli di gestione totalmente decentrati, con tutto ciò che questo implica in termini di compliance, sicurezza, affidabilità”.

Quale la possibile roadmap da seguire per ricorrere al lavoro agile in sicurezza?

Garantire ai dipendenti la possibilità di lavorare in modo “smart” significa, a livello aziendale, seguire una roadmap ben precisa, soprattutto che possa tener conto del fatto che spesso a Smart Working si associa BYOD, Bring You Own Device, ovvero la possibilità di lavorare non solo fuori dal perimetro aziendale ma con dispositivi personali.

Queste sono le tappe che si possono seguire per non improvvisare, ma soprattutto per garantire sicurezza:

Assestment delle risorse aziendali

Questa è la prima attività che si fa e che permette di verificare la possibilità da parte dei dipendenti di lavorare anche senza recarsi in ufficio. “A seguito di questa attività – afferma Matteo Benaroyo di BSistemi – in molti casi si è individuata la necessità di fornire notebook da dare in dotazione ai dipendenti nel caso ne fossero sprovvisti oppure, qualora i device fossero presenti in azienda, effettuare dove necessario aggiornamenti dei sistemi operativi non più supportati, installazione e aggiornamento di software antivirus per la protezione dei client, aggiornamento dei software gestionali per garantire gli ultimi livelli di patch di sicurezza e dei sistemi di virtualizzazione”.

Condividere policy di gestione dei dati

Sicuramente importante la definizione di regole di gestione e accesso alle informazioni aziendali oltre che la messa a punto di policy di backup da scrivere nell’ottica della mitigazione del rischio di compromissione dei dati che potrebbe derivare dalla decentralizzazione del lavoro.

Monitorare il perimetro aziendale

Ancora in ottica di sicurezza, c’è sicuramente da tenere in considerazione la necessità di introdurre, qualora non ce ne siano, dispositivi di sicurezza perimetrali, come per esempio i firewall, e attivare connessioni VPN cifrate e sicure tra i sistemi e le abitazioni dei dipendenti. “L’utilizzo di connessioni VPN – spiega Benaroyo – garantisce la confidenzialità delle comunicazioni grazie agli algoritmi di cifratura e permette di limitare l’accesso alle risorse aziendali fino a livello di singolo utente, in modo da mitigare il rischio di compromissione dei dati aziendali e permettere al dipendente di lavorare correttamente fuori dalla sede di lavoro, mantenendo comunque un livello di sicurezza paragonabile a quello della sede aziendale”.

Delineare il percorso di trasformazione

La tecnologia digitale indubbiamente non è di per sé abilitante rispetto allo smart working, visto che sono necessarie profonde trasformazioni rispetto ai processi aziendali oltre che alla modalità di gestione del lavoro.

Un’azienda che vuole essere “smart” – puntualizza Matteo Benaroyo di Bsistemi – non può più fondarsi sul solo rispetto formale dei processi e sulla presenza del dipendente sul posto di lavoro, ma deve essere impegnata a raggiungere nel concreto gli obiettivi fissati, con diversi benefici misurabili in termini di maggiore produttività e qualità, minori costi e una aumentata soddisfazione e motivazione lavorativa anche derivante da una migliore conciliazione vita-lavoro”.